Capitolo terzo
TENSIONI COLONIALI NELLE NOVELLE DI VERGA
1. Da âNeddaâ ai Malavoglia: lâemergere tematico e stilistico dei subalterni
Lâopera di Giovanni Verga (1840-1922), rispetto a quella del Capuana, si costituisce come un corpus piĂč omogeneo, sia nella forma (limitata a romanzi, novelle e opere teatrali) sia nei contenuti, per i quali la critica ha tradizionalmente riconosciuto due filoni principali: quello giovanile, caratterizzato da una produzione di tipo borghese e mondano, e quello dellâetĂ matura, contrassegnato dalla âsvoltaâ o addirittura âconversioneâ veristica di cui la novella âNeddaâ (1874) per molti critici costituirebbe il punto di cambiamento. Secondo questa interpretazione, nel passaggio dalle opere borghesi a quelle veriste si registra un mutamento tanto dellâoggetto della rappresentazione, che ora si appunta verso gli strati popolari della Sicilia rurale, quanto nello stile della scrittura, che dalle novelle di Vita nei campi (1880) al romanzo I Malavoglia (1881) matura nel senso dellâacquisizione di tutti quegli artifici retorici atti a portare la narrazione verso lâimpersonalitĂ e lâaderenza allâoggetto rappresentato.
Anche per il presente discorso âNeddaâ Ăš punto di snodo fondamentale, non tanto per dimostrare o smentire la tesi che la novella costituisca il momento di svolta allâinterno dellâopera verghiana, quanto per tracciare dallâinizio il percorso compiuto dallâautore nella rappresentazione dei personaggi subalterni, essendo la novella il primo scritto verghiano in cui lâuniverso popolare Ăš protagonista del testo. Il mondo rurale siciliano era, per la veritĂ , giĂ comparso in alcuni dei precedenti romanzi dello scrittore catanese ed Ăš per questo che lâanalisi prende lâavvio da uno dei romanzi giovanili piĂč rilevanti dellâautore, Eva. Esso ci consentirĂ di verificare il passaggio di Verga da una rappresentazione tradizionale e convenzionale della Sicilia, basata sul concetto chiave del pittoresco, a una piĂč critica e problematica in Vita dei campi e I Malavoglia.
Unâanalisi di questo genere, pur condotta sotto la prospettiva postcoloniale, non puĂČ esimersi dallâaffondare le proprie radici nella critica giĂ esistente. Addentrarsi in essa equivale ad avventurarsi in un ginepraio cangiante in dipendenza dal momento storico in cui i vari interpreti si sono cimentati a commentare lâopera dello scrittore siciliano; cosicchĂ© accanto al pullulare di articoli e testi critici sono sorte anche diverse antologie â specie negli anni â70 con il fiorire del filone marxista â mosse dallâesigenza di riprodurre un panorama della critica verghiana e di offrire una critica a tale critica, mettendone di volta in volta in luce pregi e difetti, limiti e aperture. I due nodi, in particolare, su cui si Ăš esercitata tale critica sono la questione dello stile e della lingua e quello dellâideologia verghiana, individuando spesse volte nel primo un riscontro del secondo o nel secondo i motivi delle soluzioni adottate da Verga per il primo oppure rilevando lâesistenza di uno scarto tra la sperimentazione linguistica da un lato e lâideologia conservatrice dallâaltro. Indubbiamente, il fascino dellâopera dello scrittore catanese che si definisce âmaggioreâ o âmaturaâ o âveristaâ â salvo poi spesso contestare o problematizzare questâultima etichetta â, la produzione, cioĂš, che va da Vita dei campi a Mastro Don Gesualdo (1889), saltando perĂČ quel romanzo di nuovo âmondanoâ e simile ai testi giovanili che Ăš Il marito di Elena (1882), Ăš lâaccostarsi a una tematica â quella dei subalterni siciliani â âquasiâ nuova e in modo senza dubbio nuovo. In particolare, cosa che costituisce il vero cruccio critico, il fatto che a compiere una tale operazione fosse un appartenente allâalta borghesia terriera di dichiarate scelte ideologiche e politiche conservatrici, antidemocratiche ed elitarie. Quello che Ăš stato definito come il âcasoâ Verga nasce, dunque, da questa reale o apparente contraddizione, che ha portato la critica nei decenni a scorgere nello scrittore siciliano posizioni che vanno dal prefascismo al socialismo. Lâimpasse creata dalla «sproporzione o addirittura lâincongruenza fra il pensiero e la parola, la limitatezza dellâuomo e la grandezza dellâartista, lâumanitĂ del narratore e il codismo reazionario del politico», come lâha sintetizzata Asor Rosa (1987, 165), Ăš stata superata di volta in volta in vari modi, ponendo ora di piĂč lâaccento sugli aspetti stilistici (filone in particolare alimentato dagli studi di Devoto e Spitzer), ora sul realismo che, di lĂ delle convinzioni politiche dello scrittore, documentando la realtĂ non poteva, per il parere dei commentatori, che documentare la reale situazione in cui si dibattevano le vite delle plebi siciliane. In questa sede sarebbe troppo lungo e poco funzionale riassumere tutte le posizioni che si sono succedute nel tempo nel tentativo di risolvere il âcasoâ, giungendo a risultati completamente opposti anche rispetto alla definizione dellâideologia verghiana: Cirese, ad esempio, nel â55, a conclusione di uno studio sui proverbi presenti ne I Malavoglia affermava che le intenzioni dello scrittore sono storiche (31), mentre Asor Rosa, nella sua ricognizione sulla rappresentazione del popolo nella letteratura contemporanea sosteneva che nello scrittore catanese «câĂš una visione di carattere piĂč metafisico che storico» (1979, 59).
In realtĂ , non Ăš stato sufficientemente notato come il âcasoâ Verga sia ulteriormente complicato dalle condizioni storiche e dalle dinamiche coloniali presenti nellâItalia post-unitaria: in gioco nella scrittura verghiana non câĂš solamente il confronto tra classi diverse e la rappresentazione dei subalterni da parte degli appartenenti ai ceti privilegiati, ma anche lâintrecciarsi dei discorsi di tipo coloniale che si svilupparono allâinterno del paese intorno e dopo il 1861. Tenere conto di questi aspetti, arricchisce il quadro e pone lo scrittore catanese e le sue opere nellâintersezione di piĂč elementi che possono aiutare la comprensione del âcasoâ senza dover ricorrere a forzature ed etichettature legate alla definizione ideologica dello scrittore, alle sue prese di posizione in campo politico e alle interpretazioni finora svolte in questo ambito dalla critica, liberando in questo modo dallâimpasse della contraddizione in cui pare cadere la sua opera.
Impostare lâanalisi tenendo conto della prospettiva postcoloniale porta a due importanti conseguenze. La prima Ăš di tenere in maggiore considerazione il quadro storico â coloniale â nel quale Verga si trova a scrivere e operare. In molte occasioni, infatti, le figure che lo scrittore rappresenta nelle sue opere migliori assurgono ad archetipi, hanno valore mitico, diventano universali; ciĂČ, perĂČ, non elimina il loro radicamento in un ambiente geografico e storico ben preciso e il conseguenziale fatto che, se osservate da vicino, esse siano portatrici anche di tutte le tensioni che investono lâisola nei decenni post-unificazione. In seconda istanza, avvicinarsi di piĂč al contesto storico aiuta ad affondare lâanalisi su elementi concreti e a basarsi sul testo, deviando quindi il fulcro dellâattenzione dallâideologia verghiana che avrebbe informato lâopera. Molte volte, infatti, la critica, soprattutto nellâambito di quella che si definisce marxista, ha avuto al centro della propria preoccupazione la definizione dellâideologia verghiana, spesso con lâintento principale di stabilire se essa fosse â e in quale grado â reazionaria o meno, perdendo quasi completamente di vista il testo e astraendosi da un piĂč preciso contesto storico. Propongo, invece, di spostare la critica al di fuori della questione ideologica e situarla, invece, allâinterno del contesto storico coloniale.
2. âNeddaâ: dalla «novelluccia da niente» alla Sicilia rurale
Alla fine del 1872 Verga si trasferĂŹ a Milano, dove risiedette fino al 1893, anche se questa, come si sa, non fu soluzione nĂ© definitiva nĂ© permanente, ma alternata a frequenti ritorni in Sicilia. Quegli anni furono fondamentali a livello nazionale per lâemergere della questione meridionale: Roma era stata da poco annessa al nuovo stato italiano, divenendone capitale, e la guerra civile legata al brigantaggio (1861-1870) nelle zone meridionali si era appena conclusa con la soppressione delle bande dei contadini e, in reazione, lâaumento dellâemigrazione oltreoceano. Nondimeno, la sconfitta delle rivolte contadine non portĂČ nĂ© a una pacificazione in quelle aree nĂ© a un miglioramento delle condizioni di vita delle masse rurali, lasciando irrisolti i problemi ereditati dal regno borbonico da una parte e acuiti o creati ex novo dallâannessione italiana dallâaltra. Contemporaneamente a questi eventi politici e sociali, nella coscienza nazionale di quegli anni si consolidarono i discorsi meridionalisti intorno alle aree del Sud Italia e la âscopertaâ a livello nazionale dellâesistenza del Sud come area diversa e problematica.
I primi anni di Verga a Milano corrispondono, perciĂČ, al periodo di questa âscopertaâ, le cui basi erano giĂ state poste durante il processo di annessione (Petrusewicz 1998) ma diventarono discorso comune a livello nazionale negli anni successivi e ricevettero la consacrazione con la fioritura della letteratura meridionalistica inaugurata da Villari, il cui volume Lettere meridionali Ăš del 1875, e dallâinchiesta di Franchetti e Sonnino uscita nel 1876. Allâaltezza dellâapprodo nella capitale lombarda, lo scrittore catanese aveva giĂ pubblicato Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871) e stava attendendo alla scrittura di Eva, uscito lâanno successivo (1873) presso Treves. Si tratta di romanzi di argomento e ambientazione derivati dallâesperienza del suo primo soggiorno fuori dallâisola natia, a Firenze, dunque con personaggi di estrazione borghese e aristocratica che per lo piĂč, cosĂŹ come sarĂ anche per il successivo Eros scritto nel 1874 e pubblicato nel 1875, si muovono tra case di lusso e sfarzose feste private, tra intrighi amorosi e gelosie, pallori e rossori. Molti critici hanno considerato lâimportanza di Eva, soprattutto per la prefazione polemica in chiave anti-borghese che accusa lâedonismo e il materialismo della societĂ borghese in cui lâarte Ăš diventata «un lusso da scioperati» e conclude che «viviamo in unâatmosfera di Banche e di Imprese industriali, e la febbre dei piaceri Ăš lâesuberanza di tal vita» (225). Ă, per molti, un segno dellâinsofferenza di Verga verso la societĂ mondana di Firenze e Milano e il seme dellâimminente âconversioneâ letteraria che avverrĂ con il bozzetto âNeddaâ del 1874. Per Moe «Eva costituisce un punto di partenza non ortodosso per considerare la rappresentazione della Sicilia da parte di Verga» (in Lumley e Morris 1999, 150) e in questo romanzo, sempre secondo il critico, lo scrittore catanese propone una visione pittoresca dellâisola, denunciata dalla scena in cui Eva chiede a Enrico Lanati, giovane pittore siciliano trasferitosi a Firenze, un suo quadro nel quale sono raffigurati i faraglioni della spiaggia di Aci Trezza. A questo momento del romanzo si dovrebbe anche aggiungere lâemblematico finale: Enrico, malato terminale, decide di tornare al proprio paese e morire nella campagna siciliana tra gli affetti familiari e toni piuttosto patetici e insistiti sul sentimentalismo. Ă evidente il contrasto tra la mondana Firenze, luogo di feste, sfarzi, amori irregolari, passioni sfrenate, ispirazioni artistiche e vita frenetica, e la tranquilla campagna siciliana, dove regnano la quiete, lâaffetto familiare, profondo, sano e misurato, posto ideale in cui trovare la pace â e se stessi â prima della morte.
La Sicilia, in effetti, agli occhi dellâesule Verga si configura spesso come luogo di «sereno raccoglimento» (in Perroni 1940a, 120), cosĂŹ come indicato nella lettera a Capuana del 1879 a proposito dei Malavoglia; ma proprio la capacitĂ di superare questa visione idealistica renderĂ pregio agli scritti migliori del catanese. Se Ăš pur vero, infatti, che inizialmente Verga sfrutta lâimmagine pittoresca della Sicilia nel modo in cui si era andata costruendo per secoli nei discorsi dei viaggiatori del Grand Tour poi fatti propri anche allâinterno della penisola dopo lâunificazione (Bertellini 2010), lo scrittore catanese dai romanzi giovanili ai Malavoglia lavora su questo aspetto cambiando significativamente lâutilizzo del pittoresco allâinterno delle proprie opere: in Eva, come abbiamo visto, lo sfrutta e reitera, mentre nelle novelle di Vita dei campi lo adotterĂ attraverso quello che Bertellini definisce una «appropriazione ironica e spesso sovversiva» (50 trad. mia) da parte di scrittori e arti...