Capitolo 1
Storia, regole e dinamiche
dell’industria farmaceutica
1.1 farmaci: un’impresa collettiva
“Farmaco” o “medicinale” sono termini sinonimi nel linguaggio corrente, impiegati per riferirsi a qualsiasi sostanza o associazione di sostanze che, secondo quanto recita la normativa italiana vigente, sia presentata come avente proprietà curative o di prevenzione delle malattie, e possa essere utilizzata per ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche (così l’art. 1 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219). Tali azioni sono svolte dalla componente del farmaco denominata principio attivo, il quale, per essere introdotto nell’organismo, viene di solito protetto e veicolato con particolari materiali di rivestimento, gli eccipienti.
Quanto alle sostanze impiegate, sia per il principio attivo che per gli eccipienti, esse possono essere di tipo diverso, ordinabili secondo una progressione che ben mostra lo sviluppo occorso nella produzione dei farmaci. Infatti, ai preparati di origine vegetale e minerale noti già nella più remota antichità – il primo studio conosciuto di farmacologia naturale è un trattato attribuito a un imperatore cinese vissuto intorno al 2800 a.C. – si sono aggiunti nel corso del tempo prodotti di origine animale e umana, quali microrganismi, secrezioni, tossine, sangue e suoi derivati.
A partire dall’Ottocento, con l’imporsi della chimica di trasformazione e sintesi, l’allestimento dei farmaci è entrato nella sua fase industriale, arrivando allo sviluppo, nella prima metà del Novecento, di farmaci basati su molecole chimiche di piccole dimensioni molto efficaci, al punto da ottenere l’etichetta mediatica di wonder drugs. Molti di questi nuovi farmaci hanno rivoluzionato l’approccio medico alle malattie e relative terapie: il riferimento è in primo luogo agli antibiotici ad ampio spettro e agli antidepressivi triciclici, ancora oggi di notevole importanza terapeutica.
A partire dagli anni Settanta del Novecento, con l’avvento di nuove biotecnologie, ingegneria genetica e le inedite capacità computazionali e cognitive determinate dall’informatica, sono stati sviluppati farmaci dalle grandi potenzialità terapeutiche, spesso denominati biotecnologici o biotech. Tale processo sta inoltre avvenendo in parallelo, da un lato, a una radicale revisione dell’approccio farmacologico a molte sostanze provenienti dai regni vegetale e animale, dall’altro a crescenti possibilità d’intervento diretto sui meccanismi operativi del corpo umano, provvedendo, come nel caso delle terapie geniche, a loro modifiche e correzioni con l’inserimento nell’organismo di nuovo materiale genetico.
Dinanzi a una simile progressione dell’innovazione nella ricerca e produzione non è eccessivo rilevare come, nel ripercorrere la storia dei farmaci, si finisca per risalire anche il difficoltoso cammino dell’umanità alla ricerca di soluzioni per questioni realmente di vita e di morte. Si tratta peraltro di un percorso che – nel suo connettere la dimensione magico-naturale dei primordi a quella meccanico-scientifica della contemporaneità, alle soglie di un controllo farmaceutico del corpo tale da rendere sempre più concrete le prospettive di quello che non a caso viene spesso indicato come un vero e proprio bio-potere – fin dai suoi avvii occidentali nella Grecia di Ippocrate ha sempre comportato la necessità di trattare con particolare riguardo le sostanze utilizzate e modalità di somministrazione. Il termine pharmakon, non a caso, significava sia cura che veleno, da cui la necessità di sviluppare una serie di precise conoscenze gestionali, dalla tossicologia alla farmacologia clinica, attualmente confluite nella farmacologia generale, e che in modo particolare negli ultimi due secoli hanno sostenuto in maniera decisiva il progresso dell’industria farmaceutica.
Dall’affermazione di tale industria è dipesa anche una crescente specializzazione nelle professioni riconducibili all’ambito delle cure mediche, con effetti di rilievo nella prospettiva della concorrenza tra attività d’impresa. Nell’antichità, in effetti, farmaceutica e medicina erano arti tra loro combinate, e solo nel corso del Medioevo la professione di farmacista, lo “speziale”, si è venuta a distinguere da quella di medico, caratterizzandosi come abilità specialistica nell’allestimento di farmaci destinati a uno o più pazienti per volta.
La competenza nella preparazione di quelli che sono ora noti come “preparati galenici” – officinali o magistrali, a seconda che siano destinati a gruppi o singoli, nel rispetto di un insieme di regole di preparazione condivise denominate “farmacopea” – si è mantenuta fino ad oggi, ma, a fronte della crescente disponibilità commerciale di farmaci di produzione industriale, perlomeno nei paesi economicamente più avanzati essa risulta sempre meno rilevante in termini quantitativi. Il fatto che, come si legge sempre più spesso, la nuova frontiera sia rappresentata dalla medicina personalizzata, pare nondimeno segnare un ritorno all’approccio individualizzato tipico della farmaceutica tradizionale, ancorché opportunamente ingegnerizzato e assoggettato alle economie di scala e di scopo proprie dell’industria.
La produzione di massa e la conseguente disponibilità dei prodotti hanno fatto sì che i farmaci siano comunemente percepiti come una risorsa scontata: è però importante tenere a mente come questo stato delle cose si sia stabilito in un arco di tempo breve e recente, incentrato sulla chimica di sintesi, con conseguenze straordinarie sulle aspettative e la qualità di vita media.
Giusto per fare un esempio, sebbene già Erodoto avesse rilevato nel V secolo a.C. la peculiare buona salute di un popolo in cui era diffuso il consumo di foglie di salice, la sintesi industriale dell’acido acetilsalicilico – il principio attivo dell’aspirina, insomma – risale solo alla fine dell’Ottocento, e la comprensione secondo criteri scientifici dei suoi effetti sull’organismo umano resta tuttora incompleta. Del resto, se di una cosa si può essere certi nel continuo del tempo presente, ovvero di volta in volta al culmine delle conoscenze scientifiche, è della limitatezza di tali conoscenze.
Ora, quando l’ignoranza non sia di stimolo alla ricerca attiva, ma una condizione passiva e diffusa, la ricomparsa di soggetti privi di scrupoli che provino a sfruttarla per proprio tornaconto pare purtroppo fisiologica. In effetti, ciarlatanerie e (spesso tragiche) farse non sono affatto retaggi di tempi lontani, avendo anzi condizionato nel profondo la storia dell’industria farmaceutica moderna.
In questa prospettiva risulta emblematico il fenomeno delle patent medicines, espressione con cui, fino ai primi anni del Novecento, venivano indicati negli USA i medicinali che millantassero brevetti o patenti ufficiali a garanzia di proprietà curative; spesso venduti in maniera pittoresca, con tanto di spettacoli itineranti (medicines shows), nel loro proliferare incontrollato questi prodotti finirono per indurre il legislatore competente ad approntare misure crescenti di verifica della qualità e sicurezza dei medicinali.
Come si vedrà, è proprio su tale disciplina che si è progressivamente edificato un modello di regolazione e controllo di prodotti sempre più pervasivo, da cui dipendono le caratteristiche principali dell’industria farmaceutica odierna, e, di conseguenza, anche della cornice regolamentare da tenere presente quando ci si trovi a intervenire su condotte d’impresa con gli strumenti antitrust.
1.2 regolazione del settore e autorità competenti
A seguito degli sviluppi industriali e commerciali occorsi dalla seconda metà dell’Ottocento, un medesimo farmaco ha potuto raggiungere platee sempre più ampie di consumatori, con una conseguente portata crescente dei suoi effetti – positivi o negativi – in termini d’impatto sulla salute pubblica.
Se, però, per il controllo e la verifica delle preparazioni galeniche del singolo farmacista destinate a pochi consumatori per volta si poteva fare affidamento sulle conoscenze “aperte” proprie delle farmacopee tradizionali (presidiate da ordini professionali attenti a controllare che condotte individuali non pregiudicassero l’affermazione economica e sociale della categoria), gli esordi dei nuovi prodotti furono caratterizzati dal segreto commerciale, nella totale assenza di autorità in qualche modo competenti.
La regolazione dell’industria farmaceutica come la s’intende oggi è venuta definendosi proprio nel tentativo di risolvere tali problematiche e le loro conseguenze. Si tratta di questioni di portata internazionale, vista la distribuzione su scala mondiale dei principali prodotti, ma senza che a ciò abbia finora corrisposto un corrispondente governo delle politiche farmaceutico-sanitarie.
A questo proposito, va tenuto conto che anche un’istituzione internazionale come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), istituita sin dal 1946 come agenzia speciale delle Nazioni Unite, non dispone di poteri formalmente cogenti in tema di politica sanitaria (health policy), se non per la gestione di particolari emergenze di ampia portata. Se, dunque, a fronte della rilevanza delle funzioni consultive e d’indirizzo di tale organismo è pur possibile riferirsi – come è già stato fatto in ricerche di diritto internazionale – all’esistenza di un ordine giuridico globale in materia sanitaria, va comunque tenuto conto che l’operato dell’OMS si rivolge comunque a interlocutori pubblici e istituzionali, ma non è atto a condizionare le attività private d’impresa da cui può discendere la disponibilità degli strumenti terapeutici fondamentali all’azione di tali interlocutori, quali in primo luogo i farmaci.
Di fatto, proprio in ambito farmaceutico si può osservare uno dei più eclatanti squilibri maturati nel corso del tempo rispetto ai processi economici di globalizzazione, per cui, a una persistente dimensione locale o al più (come nel caso dell’UE) macro-regionale delle competenze regolatorie, sono venute ad affiancarsi dinamiche commerciali di portata spesso mondiale.
1.2.1 Il modello regolatorio statunitense
Salva tale premessa, rispetto al piano regolatorio vigente va detto che per ragioni di tipo storico ed economico – a partire dalla preminenza dell’industria statunitense maturata nel settore nel corso del Novecento – è stata la disciplina USA a fornire i modelli concettuali e operativi divenuti di riferimento a livello internazionale, sia in termini di organizzazione della regolazione e autorità di settore che di sviluppo degli standard produttivi.
Al riguardo, il primo provvedimento di riferimento è una legge federale USA, il “Pure Food and Drug Act”, adottata nel 1906 con l’obiettivo di perseguire l’adulterazione di alimenti e medicinali. Con l’occasione, specifiche disposizioni furono introdotte anche per garantire la correttezza delle informazioni riportate in etichetta, dando così un contributo significativo all’avvio della più generale disciplina della tutela del consumatore. L’applicazione di tale legge venne affidata a un ente amministrativo appositamente costituito, ora noto come Food and Drug Administration (FDA), ma specifici poteri di controllo sulla sicurezza dei medicinali furono conferiti all’ente solo con un provvedimento del 1938, il “Federal Food, Drug, and Cosmetic Act”. La riforma avvenne sull’onda dell’impressione suscitata dalle numerose morti dovute alla preparazione tossica della forma liquida di un antibiotico all’epoca molto diffuso, il sulfanilamide, e a fronte dell’evidente carenza della normativa vigente (l’impresa che distribuì il prodotto venne perseguita solo per falsa etichettatura, in quanto, avendo confezionato lo sciroppo usando un liquido antigelo al posto dell’alcol, a differenza di quanto riportato sui flaconi non avrebbe potuto commercializzare il sulfanilamide come “elixir” perché diverso da una soluzione alcolica).
Con l’occasione, inoltre, venne introdotta una modifica fondamentale nelle dinamiche commerciali dei farmaci, fino a quel momento acquistati liberamente dai pazienti: la nuova legge, infatti, attribuì ai medici curanti la responsabilità pressoché esclusiva della loro prescrizione, il che comportò che la scelta tra quelli disponibili sul mercato venisse demandata a soggetti diversi dai pazienti. Il ruolo di consumatore si è in tal modo separato da quello di soggetto decisore del consumo, con importanti conseguenze sulle modalità di commercializzazione e relative strategie di persuasione. La pubblicità dei farmaci da parte delle imprese, in effetti, è venuta a concentrarsi sui medici, secondo modalità diverse da quelle tipiche dei mercati di massa, in una commistione con l’informazione scientifica che risulta spesso difficile da districare, e che, come vedremo, è stata anche alla base di recenti casi antitrust (v. capitolo 6.3). Ancora, quando si tenga conto che anche il soggetto pagatore risulta spesso essere diverso dal consumatore e dal decisore del consumo (si pensi ai casi di sistemi sanitari sostenuti dalla fiscalità generale, come quello italiano, o delle grandi assicurazioni private tipiche del sistema statunitense), si può meglio intendere quanto complessi e peculiari siano i meccanismi dell’economia farmaceutica, e di conseguenza anche le possibili strategie anticoncorrenziali delle imprese.
Alla riforma del 1938 seguì un lungo periodo di crescita dell’industria farmaceutica, anche sull’onda delle necessità straordinarie di consumo dovute alla seconda guerra mondiale. Tale crescita avvenne in un contesto regolatorio rimasto sostanzialmente stabile fino ai primi anni Sessanta, quando, di nuovo in presenza di un’altra tragedia di salute pubblica, la disciplina statunitense venne rivista in maniera profonda. A seguito delle migliaia di gravi deformazioni neonatali registrate nel mondo dopo la somministrazione dell’analgesico Talidomide a donne incinte, la FDA fu infatti autorizzata a effettuare verifiche approfondite circa sicurezza dei farmaci e loro efficacia (non però in maniera direttamente comparata, per cui un prodotto può continuare a essere introdotto sul mercato anche se non apporta nuovi benefici rispetto a quelli già esistenti, con la conseguente proliferazione di farmacia-copia, i c.d. “me too”, che ancora oggi rendono spesso poco efficiente la definizione dei prontuari farmaceutici). Alle imprese, dal canto loro, fu chiesto di conformarsi a pratiche produttive sempre più rigorose e standardizzate (nel gergo di settore si parla al proposito di GMP, da Good Manifacturing Practices).
Le modifiche citate furono introdotte nel 1962 con una legge federale, il “Kefauver-Harris Act”, che ha segnato uno spartiacque fondamentale nel diritto farmaceutico, delineando i processi tuttora vigenti per l’approvazione di nuovi prodotti (v. capitolo 3.1.1). Rispetto a tale normativa anche altri pur importanti atti normativi, quali lo “Hatch-Waxman Act” del 1984 in materia di versioni equivalenti, o ancora il “Biologics Price Competition and Innovation Act” del 2009 relativo ai farmaci biotech, sono comunque intervenuti con modifiche incrementali, mantenendo l’impianto di fondo della regolazione di settore per quanto attiene i requisiti di efficacia e sicurezza dei farmaci.
1.2.2 La situazione in Europa
Anche la Comunità economica europea, istituita con il Trattato di Roma nel 1957 e inizialmente dotata solo di rudimentali disposizioni in materia di sicurezza alimentare, dinanzi alla tragedia del talidomide corse ai ripari con una disciplina – contenuta nel...